
Se il lavoratore utilizza il PC aziendale per scopi privati
10 Ottobre 2017
Durante le attività di Audit Privacy si riscontra troppo spesso una scarsa conoscenza di quali debbano essere le regole per l’uso degli strumenti informatici all’interno dell’Azienda e del perché queste debbano essere definite a priori e comunicate adeguatamente ai dipendenti.
L’importanza del Disciplinare interno per l’uso degli strumenti informatici aziendali
Il disciplinare definisce le regole di utilizzo dell’accesso ad internet, delle memorie esterne, dei PC e dei telefoni aziendali, le quali vincolano il dipendente all’uso degli strumenti per i soli fini collegati all’attività lavorativa.
La definizione di poche e semplici regole è utile per due motivi:
- Rende edotto il dipendente del rischio di coinvolgere l’Azienda, qualora tramite tali strumenti vengano commessi dei reati;
- Pone le basi giuridiche per poter infliggere sanzioni disciplinari, quali l’ammonimento o la sospensione dal lavoro, sino al licenziamento.
La consegna del disciplinare infatti, se correttamente registrata, legittima la Direzione -in presenza di determinate condizioni- a verificare tramite ispezioni interne il corretto uso dei PC aziendali.
In quali casi il datore può controllare le email personali del personale?
I controlli sulle email spedite da un dipendente tramite un computer o un dispositivo mobile aziendale devono rispettare determinati parametri. Oltre all’informazione preventiva, è infatti necessario che sussistano motivi gravi a giustificare il controllo.
Questo quanto stabilito dalla Grande camera della Corte europea dei diritti dell’uomo con la sentenza del caso Barbulescu contro Romania (n. 61496/08).
La Grande camera ha definito che la nozione di vita privata debba includere tutti gli aspetti che consentono a un individuo di sviluppare un’identità sociale, ossia anche le attività professionali. A questo si aggiunge che «la maggior parte delle persone ha modo di avere una significativa, se non la più ampia possibilità, di sviluppare relazioni con il mondo esterno».
Ne risulta che le conversazioni e le email che hanno origine dagli uffici rientrino nella sfera di protezione dell’articolo 8 della Convenzione europea “Diritto al rispetto della vita privata e familiare”.
La Grande camera ha quindi concluso che è necessario trovare il giusto equilibrio tra tutela della vita privata e interesse del datore di lavoro MA «non è possibile ridurre la vita privata in un luogo di lavoro a zero».
E se il dipendente conservasse materiale pornografico?
Questo quanto avvenuto all’interno di un Istituto di Credito, dove un dipendente nascondeva materiale vietato ai minori. Tale circostanza ha determinato il licenziamento per giusta causa del lavoratore in riferimento a diversi profili:
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Violazione del disciplinare
Il lavoratore aveva infatti violato l’obbligo di utilizzare il PC esclusivamente per l’attività lavorativa e quello di mantenere una condotta disciplinata, dignitosa e morale.
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Esposizione al rischio di commissione di reati
Qualora infatti il dipendente avesse scaricato del materiale illegale, avrebbe esposto l’azienda alle sanzioni di cui al DLgs. 231/2001.
Licenziamento illegittimo: lesione della privacy
Perchè nonostante queste premesse il licenziamento è stato considerato illegittimo?
a Corte d’Appello ha ritenuto illegittimo il licenziamento del dipendente nei primi due gradi di giudizio, sostenendo:
- La non sussistenza del fatto contestato poichè non era stata dimostrata la presenza di documenti aziendali all’interno del disco fisso cancellato dal dipendente;
- Una lesione della privacy da parte degli ispettori dovuta alla richiesta “abusiva e sproporzionata” di visionare i file.
Se è pur vero, infatti, che le attività ispettive sono legittime poiché consentono il controllo dell’utilizzo degli strumenti in conformità alle regole aziendali, è altrettanto vero che tali ispezioni devono sottostare ai principi di rispetto della dignità dei lavoratori oltre che a quelli di correttezza, pertinenza e non eccedenza che informano la disciplina in ambito privacy.
[Fonti: Gvcassociati.it, Sentenza 22313/2016 Cassazione Sez. Lavoro (R.G. 14964/2015 Cass.), Sole24Ore.it]