sentenza-231-Impregilo

Premesse

E’ della scorsa settimana l’attesissima sentenza della Corte di Cassazione nel caso “Impregilo”.

L’attesa della motivazioni, non tanto per via del tempo, ma a motivo delle argomentazioni in essa contenute è stata appagata completamente per gli interpreti ed operatori del diritto appassionati di responsabilità degli enti ai sensi del Decreto Legislativo 231/2001.

 

La pronuncia

La sentenza n. 23401/2021 della Sesta Sezione della Cassazione Penale è scesa nelle profondità del Sistema 231, riconoscendo dignità non solo a quello che è espressamente previsto dal testo normativo, ma anche alle normative di settore e secondarie che orientano l’adozione del Modello – nella sua fase genetica – e che ne curano l’attuazione – nella sua fase esecutiva.

Al fine di comprendere al meglio la decisione della Corte è opportuno un breve accenno alla vicenda sottostante: il Presidente del Consiglio di Amministrazione e l’Amministratore delegato della società Impregilo, nella ricostruzione accusatoria, avevano comunicato al mercato notizie false sulle previsioni di bilancio e sulla solvibilità di una società controllata, posta in stato di liquidazione, configurando l’art. 25-ter del D.lgs. 231/2001 nella parte in cui richiama il delitto di aggiotaggio.

La Corte, nel confermare l’assoluzione di Impregilo per il reato contestato, si profonde in un’analisi sufficientemente approfondita di quello che deve essere il giudizio di idoneità, stravolgendo un po’ l’approccio che le impostazioni precedenti avevano cristallizzato, in uno anche al richiesto elemento dell’elusione fraudolenta del Modello, passando per la valorizzazione delle linee guida di settore, che divengono nevralgiche anche in relazione agli obblighi motivazionali del giudicante.

Pertanto, il giudice è innanzitutto chiamato ad una valutazione in concreto dell’idoneità del Modello: si rompe così, nell’idea degli ermellini, quella equazione diretta tra “compimento del reato” e “inadeguatezzatout court del documento di cui l’azienda si era dotata a fini preventivi.

Al contrario, la valutazione dell’idoneità del Modello a prevenire i reati della stessa specie di quelli poi contestati deve essere effettuata anche in relazione all’eventuale esistenza nella società di regole interne e procedure specifiche che siano idonee a minimizzare il rischio del compimento di quello specifico reato.

Nondimeno l’accertamento deve tenere da conto anche dell’esistenza di codici di comportamento redatti dalle associazioni maggiormente rappresentative e validate dal Ministero della Giustizia venendo a orientare la decisione del giudicante, il quale dovrà specificare espressamente quale specifica previsione sia stata elusa dal soggetto agente, che se ne è discostato allo scopo di commettere il reato.

Per questo si rafforza il richiesto requisito di cui all’art. 6 D.lgs. 231/2001 che chiede una condotta di elusione fraudolenta del Modello e delle normative di secondo livello che vanno ad integrarlo e renderlo effettivo.

 

Conclusioni

E’ evidente la portata sistematica della sentenza: i giudici hanno inteso rincasellare la responsabilità da reato degli enti nei crismi del processo penale con il quale i soggetti coinvolti sono destinati ad essere giudicati.

Avvicina molto la responsabilità degli enti ad una responsabilità penale personale pura, chiedendo al giudice una verifica in concreto, un accertamento causale rigoroso e un obbligo motivazionale rafforzato alla base del proprio ragionamento logico deduttivo.

Di gran peso, inoltre, è anche il riconoscimento di un’efficacia centrale per le linee guida di categoria come parametro valido a valutare i Modelli 231 conformi alle regole ivi contenute.

In conclusione, la sentenza riabilita e dà nuova linfa all’efficacia esimente del Modello 231 che sia valutato idoneo e efficace, perché effettivamente redatto, adottato e attuato.

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