
La compliance 231 alla luce del nuovo codice della crisi di impresa
1 Febbraio 2022
L’importanza della compliance 231
Non vi è dubbio che gli anni più recenti si sono mossi nel senso di attribuire una sempre maggiore efficacia alla c.d. compliance integrata, ovvero la predisposizione, all’interno di un’impresa, di un unico insieme di flussi informativi, documenti e protocolli atti a disciplinare, attraverso l’utilizzo di una metodologia comune, le varie aree di rischio dell’ente.
La metodologia comune si fonda sulle logiche del risk approach e permette, attraverso l’attività di mappatura di tutti i processi aziendali, di individuare punti di forza da valorizzare e aree grigie da potenziare.
È proprio questo il valore aggiunto che il nuovo codice dell’impresa e dell’insolvenza riconosce alla compliance 231 nella sua ultima modifica normativa, attribuendole di fatto il compito di misurare lo stato di salute economica della società al fine di evitare un improvviso stato di insolvenza.
La modifica normativa e il collegamento con il Modello 231
La recente riforma del Codice della Crisi di impresa e della insolvenza ha introdotto un nuovo comma nell’art. 2086 c.c. che fa del Modello 231 uno degli strumenti utili a verificare per tempo lo stato di insolvenza dell’impresa.
Nell’ottica preventiva che muove il sistema 231 nella sua fase di formazione, infatti, studiare i processi produttivi di un’azienda passa inevitabilmente per la verifica della solidità degli aspetti gestori, attribuendo una particolare importanza alla costruzione dei adeguati assetti organizzativi, amministrativi e contabili.
La prognosi futura sulla capacità di impresa supera, in questo modo, il solo aspetto contabile e assegna nelle mani degli amministratori il compito di prevenire e gestire eventuali segnali di rischio.
L’idea di fondo da cui muove la novella, infatti, è certamente quella della prevenzione ma, ancor di più, quella della compliance integrata: poiché non esiste una vera e propria compliance per la crisi di impresa, è possibile mutuare il lavoro di mappatura secondo le logiche dell’approccio al rischio, anche al fine di verificare lo stato di solvibilità.
Come noto, infatti, il Modello 231 è in grado di prevenire il compimento di fatti qualificabili come reato solo nel momento in cui la sua adozione non sia solo formale, ma effettiva ed idonea, anche alla luce del controllo periodico che l’Organismo di Vigilanza svolge dei flussi informativi di cui è destinatario privilegiato.
In ultima analisi, la principale attenzione dell’OdV di un’azienda si concentra proprio sui flussi di danaro e, di conseguenza, sul monitoraggio delle informazioni che riguardano l’utilizzo del danaro da parte dell’impresa: pertanto, se esiste un punto di frizione dal punto di vista della solvibilità, questo può emergere già nel periodo di osservazione che arriva al vaglio dell’Organismo di Vigilanza.
Si istituisce così uno scambio biunivoco di informazioni tra le due aree interessate: l’esperienza della ventennale applicazione della normativa 231 ben può fungere da supporto ai fini della verifica dell’eventuale stato di insolvenza di un’impresa.
Conclusioni
È immediato il rilievo conclusivo di quanto sinora si è detto: entrambe le discipline condividono un principio di fondo che è volto a garantire la continuità aziendale.
Il Modello 231, perché attraverso la predisposizione di principi di controllo e presidi di comportamento mira a prevenire spiacevoli stasi collegate a coinvolgimenti in procedimenti giudiziari.
Il Codice della Crisi di impresa e dell’insolvenza, perché mira ad anticipare il momento utile ai fini della verifica dello stato di salute finanziaria dell’impresa.
In questo senso il Modello 231 diviene anche lo strumento per proteggere l’azienda non più e solo dalle aule giudiziarie, ma anche dal più classico dei rischi di impresa, il fallimento.