Covid-19

L’adozione di un Modello Organizzativo 231/01 allo stato attuale non è un obbligo di legge: tuttavia esistono delle normative locali che impongono, in alcuni, casi, l’adozione del Modello per contrarre con la Pubblica Amministrazione o per ricevere specifici accreditamenti.

Tra questi casi va certamente annoverata la Regione Lombardia, che richiede, in ambito sanitario, di dotarsi di un Modello 231 per l’accreditamento di strutture private di ricovero o case di cura.

Ebbene, tra gli enti particolarmente attenzionati dall’era Covid-19 vanno annoverate le strutture socio-sanitarie che, già particolarmente esposte alla commissione di un’ampia varietà di reati tra quelli previsti dal catalogo del D.lgs. 231/2001, si sono trovate a dover gestire, con esiti spesso non all’altezza delle aspettative, il fenomeno pandemico all’interno delle loro mura.

 

Le RSA alla prova del Covid-19

Gli onori della cronaca recente hanno acceso i riflettori sul sistema di gestione delle Residenze Sanitarie Assistenziali (RSA), ossia quelle strutture sanitarie abilitate ad ospitare, per un periodo variabile, persone che non possono essere assistite dai loro familiari o che abbisognano di cure mediche specifiche.

Accogliendo persone fragili, l’incidenza dei decessi per Covid-19 all’interno delle RSA è stata molto alta e questo ha indotto diverse autorità competenti ad iniziare procedimenti per individuare eventuali falle nella gestione.

Così come per tutte le altre aziende, anche le strutture sanitarie si sono trovate esposte a una doppia tipologia di rischi:

  • rischi diretti, legati alla gestione della sicurezza sul lavoro;
  • rischi indiretti, connessi più specificamente alla gestione dell’emergenza pandemica e ai rispettivi impatti sull’attività di impresa.

Indiscutibilmente, quindi, le strutture sanitarie si sono trovate a dover fronteggiare un nuovo contesto e, quindi, a dover strutturare nuove dinamiche aziendali.

L’Istituto Superiore della Sanità ha raccolto con un sondaggio le principali difficoltà manifestatesi in corso di pandemia individuandole, tra le altre, nella scarsità delle informazioni ricevute in merito alle procedure da svolgere per contenere l’infezione; nella mancanza di farmaci e di DPI; nella mancanza di copertura da parte del personale sanitario; dalle difficoltà di far eseguire i tamponi.

Il bagaglio di informazioni sinora raccolto dovrebbe orientare le strutture attive nel settore sanitario nell’adozione di presidi e strumenti di organizzazione aziendale idonei a prevenire alcune condotte a rischio reato (ad es. gestione e trattamento dei dati personali; gestione dei rapporti con le aziende farmaceutiche; gestione del piano di sicurezza sul lavoro; gestione degli approvvigionamenti di beni e servizi; e così via…).

 

Conclusioni

Ciò che allo stato è necessario per queste categorie di aziende è certamente l’adeguamento aziendale al metro delle novità ed urgenze dettate dalla pandemia ancora in corso e il cui andamento altalenante ha già ripetutamente messo sotto pressione proprio le strutture sanitarie.

Punto di partenza è certamente quello dell’intervento sui Modelli 231 già adottati: i rischi diretti e indiretti vanno inclusi nella mappatura che dovrebbe già contenere le categorie generali di gestione dei processi interessati.

Questo rappresenterebbe un modo per verificare l’idoneità del Modello già adottato, anche attraverso un controllo più stringente dell’Organismo di Vigilanza, chiamato a intensificare le verifiche sui processi a rischio.

Le strutture sanitarie che, invece, non si sono ancora dotate di un sistema di gestione e organizzazione dovrebbero approfittare dell’attuale calo dei contagi per dotarsi di misure di prevenzione che possano in qualche modo agevolare la gestione di futuri fattori di rischio, senza lasciarsi trovare impreparati.

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