Rispetto all’applicazione della normativa 231/2001, quando si tratta di aziende le cui sedi non sono tutte su territorio italiano, è necessario fare delle precisazioni.

Aziende con sede principale in Italia

Per quanto riguarda le aziende con sede principale in Italia e sedi secondarie all’estero, la disciplina si esprime chiaramente:

“Nei casi e alle condizioni previsti dagli articoli 7, 8, 9 e 10 del codice penale, gli enti aventi nel territorio dello Stato la sede principale, rispondono anche in relazione ai reati commessi all’estero, purché nei loro confronti non proceda lo Stato del luogo in cui è stato commesso il fatto.

Affinchè l’azienda sia ritenuta colpevole di un reato commesso all’estero e che si possa applicare il D.Lgs. 231/2001 sono quindi necessarie delle condizioni particolari:

  • Il soggetto che commette il reato dev’essere funzionalmente legato all’ente, ossia deve rivestire “funzioni di rappresentanza, di amministrazione o di direzione dell’ente o di una sua unità organizzativa dotata di autonomia finanziaria e funzionale”;
  • Il reato commesso dev’essere un reato presupposto;
  • La sede principale dell’ente deve trovarsi in territorio italiano;
  • Lo stesso reato non deve essere perseguito dallo Stato in cui viene commesso;
  • Deve essere stata fatta richiesta di procedere contro l’ente da parte del Ministero della Giustizia o tramite querela.

Inoltre, la normativa non si applica qualora il reato venga commesso da un dipendente della sede straniera della società MA può applicarsi nel caso di dipendenti o amministratori distaccati all’estero.

Aziende con sede principale all’estero, che operano in Italia

Come apprendiamo da diverse sentenze, il fatto che operare in Italia comporti l’obbligo di rispettarne le leggi, sembra essere motivo sufficiente ad applicare il D.Lgs. 231/2001 anche ad aziende con sede all’estero, che commettano reati sul nostro territorio.

Anche in questo caso l’applicabilità del Decreto dipende da svariati fattori, tra cui, in primis, che il fatto commesso sia penalmente rilevante.

Sulla base di queste premesse a una società tedesca è stato vietato per un anno di contrattare con la pubblica amministrazione in Italia (ad eccezione delle trattative per la prestazione di pubblico servizio). È quindi stata applicata a un’azienda straniera una misura interdittiva prevista dalla Normativa 231 italiana, nonostante le leggi tedesche prevedano per le attività commerciali unicamente sanzioni amministrative di natura pecuniaria.

Una legge uguale per tutti, ma non senza critiche

A volte non è facile districarsi tra codici, normative e riforme per riuscire ad interpretare complessi testi di legge e la soluzione non salta subito all’occhio. Ma di fatto la commissione di un fatto penalmente rilevante tra quelli compresi nella legge 231 definisce l’assoggettabilità alla sanzione amministrativa. Quindi se anche l’ente dovesse avere sede all’estero non c’è ragione per cui non debba rispondere dell’illecito amministrativo conseguente ad un reato commesso in Italia.

La decisione in merito alla società tedesca in questione ha sollevato comunque pareri contrastanti, scaturiti proprio dalle numerose leggi che intervengono in casi simili in cui i confini di applicabilità non sono così netti e in cui entrano in gioco molti diversi fattori.

È altrettanto importante evidenziare però che laddove un’organizzazione non abbia un modello organizzativo idoneo, un organo di controllo appropriato o un’etica aziendale adeguata e scelga di commettere in territorio italiano un reato che genera responsabilità amministrativa, allora è giusto che sia sottoposta alla legge Italiana con le sue sanzioni e misure interdittive.

 

[Fonti: Rivista231.it, Alavie.it]

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